martedì 2 ottobre 2012



IL SUD DEGLI EMIGRANTI ESISTE ANCORA

 Gli studenti-emigranti scappano dalla “malauniversità”



 
 

Alla fine del “700, a fronte dei viaggi fatti in Italia Goethe scriveva della Campania e del Sud in genere: “Questo è un paradiso abitato dai diavoli”. Adesso come nel “700 queste parole hanno lo stesso valore e la stessa efficacia. Col suo pensiero lo scrittore tedesco voleva trasmetterci l’idea d’un paese bellissimo: ricco d’una terra prospera, capace d’infiniti frutti e pieno di luce accecante; dove il fragore dei mercati, il vociare continuo di passanti e mercanti rendeva l’uomo conscio di sé e delle sue capacità. In questo vortice di colori e suoni stanno gli abitanti, i diavoli. Anime inquiete, caratteri ribelli, che spesso la legge la fanno da sé; uomini accesi dal calore della terra su cui nascono. D’altronde è risaputo, il gene di un popolo è dato largamente dalle caratteristiche ambientali in cui esso nasce, cresce e si riproduce. Così è per noi meridionali e così è per tutti gli altri. Ma se dello stivale noi siamo i diavoli è lecito dover ammettere che i settentrionali ne sono gli angeli? Non è necessario cadere nelle solite polemiche tendenziose; le statistiche insieme alle innumerevoli esperienze di ragazzi che come me decidono di emigrare al Nord per la propria carriera universitaria bastano a rendere chiaro un quadro generale. In Italia negli ultimi decenni la fuga dei cervelli non ha riguardato unicamente le grandi menti della ricerca che non avendo supporti finanziari si sono visti costretti ad espatriare pur di fare il proprio lavoro, ma anche una miriade infinita di ragazzi del Meridione che una volta preso il diploma si trovano di fronte oltre che la già difficoltosa scelta del percorso universitario da intraprendere anche la cruda verità:


“Se resto in Sicilia sarà più difficile laurearsi e trovare lavoro, forse è meglio andare al nord a cercare una dimensione più efficiente dal punto di vista formativo, più veloce, moderna e dinamica (senza parlare poi delle incombenze burocratiche cui bisogna essere soggiogati se si decide di restare presso gli atenei siciliani)”. Ecco qui che moltissimi studenti siciliani, calabresi, pugliesi e campani emigrano verso un migliore e più sereno percorso universitario, oltre che di vita, lasciando casa, affetti e sicurezze e portando via con se ingegno, estro e capacità che altrimenti non verrebbero mai valutati, sfruttati e promossi, tanto nelle piccole comunità di provincia quanto nelle grandi cittadine della meridio-land. La distanza che subito si avverte una volta “espatriati” non si percepisce solo nei chilometri che ci separano da casa; la si intravede già nel grado di civiltà, educazione civica e organizzazione che i settentrionali in genere dimostrano coi fatti: non più ore d’attesa per un autobus, non più liti furibonde con impiegati inadempienti, ignoranti e presuntuosi, non più finti scioperi che illudono lo studente, non più aule stracolme all’inverosimile, non più “incompatibilità ambientali” (se così vogliamo chiamarle) con professori spesso fin troppo anziani per gestire rettorati e cattedre con 2000 studenti o semplicemente per poter dire cosa implichi inviare una mail; non più lauree postergate di un anno od annullate per i clamorosi errori interni delle segreterie. Quello che ci offre il nord è la certezza di poter contare su trattamenti più coscienziosi, all’insegna dell’ordine e della precisione nel lavoro svolto, qualsiasi esso sia; la pulizia e la manutenzione di edifici e impianti; la partecipazione attiva da parte dei professori; un metodo di studio molto meno mnemonico e più di sostanza, e lontano dal nepotismo della malauniversità del Palermitano; la promozione di eventi culturali e artistici che realmente coinvolgono gli studenti e le loro attività.





In questo clima rigido e sotto questo sole pallido, migliaia di studenti tra siciliani, pugliesi e campani animano le strade delle principali città universitarie del Nord Italia, emigrando proprio come fecero i loro nonni; anche se adesso si parte più per la carriera universitaria che per la certezza di trovare un impiego e anche se la vecchia valigia di cartone è stata sostituita dal notebook a tracolla il motivo che spinge ad allontanarsi è lo stesso, ieri come oggi: la precarietà sociale.

Si comprende così che c’è tutta una modernità che ci è negata, uno stadio sociale più avanzato che dovrebbe appartenerci per generazione; la mia e la nostra generazione, che si affaccia proprio adesso su un futuro troppo ancorato al passato. Fa rabbia pensare che non ci sia molto da fare per cambiare lo stato delle cose; inutile dire che la svolta debba partire dal modus vivendi di un popolo e dalla sua coscienza civile. Gli studenti-emigranti sono spesso quelli che più vorrebbero rimanere e fare qualcosa per il territorio dove sono nati. Chissà forse la storia farà da sola, magari impareremo al Nord ciò di cui il nostro Sud ha bisogno. Oltre che le grandi riforme, bisogna riappropriarci della nostra memoria; rifarci a quello che siamo stati in grado di fare quando il Regno delle due Sicilie era la 3° potenza mercantile del pianeta, quando concorrevamo con Versailles nella costruzione della Reggia di Caserta e tanto altro ci sarebbe da ricordare. Come quando Mazzini disse ai giovani militanti della Giovine Italia che quella che avrebbero creato sarebbe stata l’Italia del Sud.

Amo questo nostro paradiso descritto da Goethe, amo i diavoli che lo abitano nelle loro colorite caratteristiche, che spesso mi strappano la risata o danno spazio all’immaginazione più di qualsiasi altro carattere nordico, noioso e piatto; e amo l’idea che questa sia la mia Casa, ma sogno anche di vedere questi diavoli diventare un pò angeli, che si soffermino ad osservare quanto stiano trasformando da soli il loro paradiso in un inferno, dove il pattume galleggia lungo le strade allagate. Pensiamo all’immagine che diamo del nostro paradiso.

 

 
                                                                                                                                Tiziana Messina

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