giovedì 11 ottobre 2012
TREMA IL MEDITERRANEO Il ritmo serrato degli ultimi eventi getta le istituzioni nel caos
29 MARZO 2011 Mediteraneus, cioè “tra le
terre”. Come spesso accade sono proprio le etimologie a fornirci le
migliori spiegazioni di un dato fatto. Da sempre il Mediterraneo si distingue
nel suo essere culla di antiche e floride civiltà. In non più di 2,51 milioni
di km quadrati di superficie si estende una “terra comune”, che stringe
Francia, Italia, Spagna, Gibilterra, Albania, Grecia, Libia, Libano,
Turchia,Tunisia, Marocco, Egitto, Siria, Palestina, Israele, Bosnia,Slovacchia
e Slovenia, senza dimenticare le isole di Cipro e Malta. Un mare
intercontinentale che nei secoli è stato luogo d’incontro e scontro tra le
culture che vi si affacciano. Il suo essere centro vitale degli scambi
commerciali e delle comunicazioni, tanto nel passato, quanto adesso, lo ha reso
ambita preda dell’esterno. Certo, perché il Mare Nostrum oltre che possedere
straordinarie risorse naturali è soprattutto cerniera tra Europa, Africa e Asia.
Esso è il cuore pulsante che unisce tre continenti e, come spesso accade,
adesso soffre. Ancora una volta due fronti si contendono in nome della libertà,
di cui il mondo arabo è affamato. Un desiderio di libertà che ancora una volta
l’Occidente della democrazia si sente in dovere di sfamare. L’inizio del 2011
ha visto tutta la fascia meridionale del Mediterraneo infuocarsi di rivolte
contro i principali leader, ormai troppo chiusi in se stessi. Il vento di
libertà ha iniziato a spirare grazie al fermento delle forze innovatrici della Tunisia:il 22
marzo un tunisino, in occasione della visita del segretario generale dell’Onu,
coglie l’eredità del conterraneo Mohamed Bouazizi che nel dicembre del 2010 si
era dato fuoco dando il via alla rivolta contro il regime di Ben Ali. Si
continua con l’Egitto, quando l’11 febbraio di quest’anno, il Presidente Hosni Mubarak è costretto a
dimettersi, consentendo lo svolgimento del referendum del 19 marzo sullo stato
d’emergenza e sul mandato del presidente. Un effetto domino ha così garantito
il susseguirsi di manifestazioni, rivolte e vittime civili , trascinando alla
crisi politica gran parte degli Stati nord africani e non solo. Migliaia di
Siriani sono scesi in piazza a partire dal 18 marzo per protestare contro le
diseguaglianze economiche e la corruzione. La repressione è stata immediata:
decine di persone arrestate e una ventina i morti. Su questa scia si sono anche
mosse le forze rivoltose del Bahrein. Dall’inizio delle proteste che denunciano
la presenza di soldati sauditi nel paese le vittime qui sono più di 20.Il
governo ha risolto con la demolizione del monumento simbolo dei manifestanti in
piazza della Perla, a Manama. La manifestazione a Sana’a, nello Yemen, è stata
la più sanguinosa, costando la vita di 52 persone. E nonostante le
manifestazioni in tutto il paese, Saleh si ostina a non dimettersi e annuncia
anche lui lo stato d’emergenza. Il 20 marzo, poi, 35mila marocchini hanno
apertamente chiesto un governo più democratico, scendendo in piazza senza
scontri. La rivendicazione dei diritti civili investe così tutto il mondo
arabo. In prima fila troviamo le donne e come supporto indispensabile
all’organizzazione delle manifestazioni su internet e social network, le armi
bianche della nostra generazione. La volontà di un cambiamento non poteva non
investire anche la Libia: ma qui il 19 marzo scatta l’operazione Odissey Dawn,
fortemente voluta dal leader francese Nicholas Sarkosy e dal primo ministro
inglese David Cameron. Un’azione che vede impiegati armi e macchinari bellici: Occidente,
Europa e Onu si fanno carico di porre fine alla dittatura libica. Più che negli
altri paesi infuocati dalla rivolta antidittatoriale,in Libia Gheddafi paga le
conseguenze delle azioni compiute in passato: una politica accentrata,
autoritaria e ormai fuori tempo ha portato i suoi generali più che ad amarlo, a
temerlo ed ora ad abbandonarlo per guidare il fronte ribelle. Ma specialmente,
le dinamiche libiche sono state diverse perché diverso era il rapporto
intrattenuto con gli Stati Uniti, che qui non potevano penetrare per favorire
il cementificarsi delle forze ribelli militari. Queste infatti hanno agito in
maniera indipendente e perciò imprevedibile. Sono stati proprio gli eserciti a
condurre la rivolta e l’impossibilità dell’Occidente di fare parte dei giochi,
per gestirli a suo favore, ha portato all’inizio di una guerra che non
credevamo potesse arrivare. Perciò il Mediterraneo fa da campo di battaglia
ancora una volta. Questo fazzoletto di mare ospita culture che col tempo hanno
forse dimenticato di appartenersi. Il padre mediterraneo ha generato figli
tanto differenti tra loro, nel carattere del governo come nell’impostazione
sociale e ancor più religiosa, che non riconoscono d’essere fratelli. Se gli
f-16 perlustrano il cielo, è proprio sulle acque del mare “che sta al centro”
che migliaia di migranti rischiano la vita in cerca di un futuro migliore. In
maggior numero tunisini, ma pure marocchini, egiziani, algerini e libici
sbarcano in centinaia ogni giorno sull’Isola di Lampedusa, che li ha accolti e
si occupa di loro per quanto può. Il numero di migranti all’indomani
dell’inizio della guerra, è giunto a superare quello degli stessi abitanti
dell’Isola. I centri d’accoglienza sono al collasso ( hanno una capienza di 800
persone ma ne ospitano più di mille), con conseguenze igieniche non
indifferenti; senza contare l’impatto sulla stagione turistica su cui l’isola
basa il suo sostentamento annuale. Tantissimi minori approdati: circa 530
secondo le stime di Save The Children. Regioni, comuni e governo si rimbalzano
la palla rovente: è polemica infatti su chi debba farsi carico delle rette
presso le comunità minorili dove i ragazzini-migranti dovranno essere
trasferiti. Proposto lo smistamento tra le regioni , un sindaco come quello di
Milano prende da subito le distanze e dall’alto della Padania risuonano le
soavi dichiarazioni del leader della Lega Umberto Bossi, che vede una sola
soluzione : <Immigrati fora da i bal!>. Resta il fatto che Lampedusa non
si tira indietro: le manifestazioni degli isolani vogliono denunciare
l’abbandono dello Stato italiano ma dell’Europa stessa, che si è rivelata
deludente rispetto alle aspettative. Ogni giorno le maestre e gli alunni della
scuola media di Lampedusa impiegano il proprio tempo intrattenendo gli
immigrati. Volontari si occupano di mantenere le condizioni igieniche stabili.
Le madri offrono cibo e vestiti. Ecco che osservare i fatti da vicino, nel
piccolo e nella semplicità del quotidiano offre la giusta prospettiva. I lampedusiani
hanno dimostrato un’intuizione che di certo li distanzia dalla nostra classe
dirigente: hanno compreso che il nostro futuro è ormai inevitabilmente segnato
dall’incontro con le nuovi genti sbarcate (tutti giovani ) e che per spianare
la strada al naturale corso della storia, occorre “abbracciare” piuttosto che
scacciare. Lampedusa è il nucleo del Mediterraneo. Ma è lontana agli occhi di
chi ne decide le sorti. Tutto intorno la silenziosa guerra mette gli uni contro
gli altri, ma sull’Isola lo scontro diventa presa di coscienza. Perciò li Mediterraneo
trema. Perché fino ad oggi il nostro governo dimostra ancora la sua capacità
d’azione: il caos politico registrato alle Camere ha superato i livelli di
guardia. Lo stesso Napolitano si è visto costretto a radunare al Quirinale gli
esponenti dei partiti per riprenderli sui vergognosi comportamenti tenuti in
sede parlamentare. Come alunni scapestrati, gli “onorevoli” deputati sono stati
sgridati dal Presidente della Repubblica. Ora chiediamoci come in un contesto
come questo, dove le sedute del Parlamento si trasformano in uno show
televisivo e dove lo show televisivo molto spesso si sostituisce al dibattito
parlamentare, si possa giungere a scelte efficaci e confronti fruttuosi. Non
c’è da stupirsi se l’Italia è stata esclusa dal meeting in videoconferenza tra
i quattro grandi gestori dell’azione militare in Libia. D’altronde, noi
forniamo solo le basi militari e punti d’attracco per gli sbarcati! Il mondo
richiede velocità e mano ferma nella ricerca di strategie e risoluzioni a
problemi che avanzano ogni giorno. In che modo, un Paese che non riesce ad
alzarsi può cominciare a correre? Come fidarsi, per esempio, di una classe
dirigente che non riesce ad essere puntuale per una votazione ma che preme per
l’adozione del nucleare anche in Italia? In che modo si eviterebbe il disastro
nucleare in una società che vede palazzi, antichi e non, sgretolarsi anche in
assenza di fenomeni sismici?Se a Fukushima la catastrofe è arrivata col
terremoto dell’11 marzo, sembra che in Italia la catastrofe sia arrivata già da
tempo. Una presenza latente e implicita nell’incapacità delle nostre stesse
istituzioni. Il Mediterraneo quindi trema, ma non è il sisma a scuoterlo.
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